sabato 1 maggio 2010

La crisi in provincia di Varese è molto forte

NUMERI MOLTO ELOQUENTI
E SCARSA SOLIDARIETA'

Riceviamo e pubblichiamo
Anche quest'anno la Diocesi di Milano ha organizzato la Veglia di Preghiera dei Lavoratori in occasione del 1° maggio. Per la nostra zona Pastorale la stessa si è svolta a Varese nella Basilica di San Vittore.
La veglia di Preghiera è stata sottolineata da molti interventi, in particolare sono da sottolineare i numeri della crisi in Provincia di Varese letti da una Sindacalista della CISL e fatti avere per iscritto a ogni partecipante.
Ecco i dati principali:

Dall'Aprile 2009 al febbraio 2010 riduzione di circa 2000 imprese attive in particolare nei settori costruzioni e manifatturiero. Aumento del 51% delle aziende fallite dal 2008 al 2009 (da 111 a 168).

Incremento del 387% dal 2009 rispetto al 2008 del ricorso alla Cassa Integrazione, rappresentando il 21% delle ore autorizzate in Lombardia.

La Cassa Integrazione Straordinaria è aumentata del 117%

Nel 2009 sono stati posti in mobilità circa 4800 lavoratori di cui il 60% proveniente da piccole aziende. Il 59% uomini.
Al 20 febbraio e persone iscritte alle liste di mobilità erano 6883 di cui il 54% proveniente da piccole aziende.

Gli avviamenti al lavoro nel 2009 rispetto al 2008 sono stati 50.4111 in meno (- 35%). La diminuzione ha riguardato tutte le tipologie contrattuali. Le assunzioni di apprendisti (giovani) si sono ridotte rispetto al 2008 del 52,3%

Nel 2009 risultavano iscritte ai Centri per l'impiego 34.561 persone, 53% donne, il 43% sono giovani fino ai 34 anni.

Particolare risalto è stato dato dal vescovo Mons. Luigi Stucchi del fatto che la zona Pastorale di Varese ha avuto moltissimo dal Fondo Diocesano Famiglia e Lavoro a fronte di una raccolta molto minore a favore del Fondo stesso presso le Parrocchie della zona Pastorale.
Successivamente un volontario, nella sua testimonianza ha espressamente indicato le cifre che ammontano a oltre 500.000 euro quelle erogate dal fondo e circa 170.000 quelli invece offerti al fondo dai cattolici varesini attraverso le raccolte nelle Parrocchie della zona.

Particolarmente illuminante l'intervento dell'Arcivescovo Card. Dionigi
Tettamanzi di cui è stata data lettura e che si riporta integralmente -Mauro Prestinoni


Messaggio dell’Arcivescovo in occasione della Veglia per il lavoro 2010
“Da credenti, insieme per il lavoro”

Giuseppe, la sobrietà e la solidarietà
Il testo biblico di riferimento

Dal libro della Genesi (Genesi 41,53-57; 42,1-3; 45,1-11)
Finirono i sette anni di abbondanza nella terra d'Egitto e cominciarono i sette anni di carestia, come aveva detto Giuseppe. Ci fu carestia in ogni paese, ma in tutta la terra d'Egitto c'era il pane. Poi anche tutta la terra d'Egitto cominciò sentire la fame e il popolo gridò al faraone per avere il pane. Il faraone disse a tutti gli Egiziani: "Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà". La carestia imperversava su tutta la terra. Allora Giuseppe aprì tutti i depositi in cui vi era grano e lo vendette agli Egiziani. La carestia si aggravava in Egitto, ma da ogni paese venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perché la carestia infieriva su tutta la terra.
Giacobbe venne a sapere che in Egitto c'era grano; perciò disse ai figli: "Perché state a guardarvi l'un l'altro?". E continuò: "Ecco, ho sentito dire che vi è grano in Egitto. Andate laggiù a comprarne per noi, perché viviamo e non moriamo".
Allora i dieci fratelli di Giuseppe scesero per acquistare il frumento dall'Egitto. Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi a tutti i circostanti e gridò: "Fate uscire tutti dalla mia presenza!". Così non restò nessun altro presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. E proruppe in un grido di pianto.
Gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. Giuseppe disse ai fratelli: "Io sono Giuseppe! È ancora vivo mio padre?". Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli, perché sconvolti dalla sua presenza. Allora Giuseppe disse ai fratelli: "Avvicinatevi a me!". Si avvicinarono e disse loro: "Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l'Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nella regione e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il territorio d'Egitto.
Affrettatevi a salire da mio padre e ditegli: "Così dice il tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l'Egitto. Vieni quaggiù presso di me senza tardare.
Abiterai nella terra di Gosen e starai vicino a me tu con i tuoi figli e i figli dei tuoi figli, le tue greggi e i tuoi armenti e tutti i tuoi averi. Là io provvederò al tuo sostentamento".


Il Messaggio dell'Arcivescovo

Carissimi,
in occasione della Veglia per il lavoro, alla Vigilia del 1° maggio, memoria di San Giuseppe lavoratore, patrono di quanto si guadagnano da vivere attraverso la propria fatica quotidiana, desidero essere presente con queste mie parole in ciascuna delle sette zone pastorali in cui siete radunati assieme al vostro Vicario di zona, per pregare e riflettere attorno a questo aspetto fondamentale del vissuto di ciascuno.
L’uomo è infatti “sin dall'inizio chiamato al lavoro” (cfr. Laborem exercens, Prologo): esso appartiene alle esperienze basilari che consentono alla persona umana di crescere e sviluppare le proprie capacità, mettere a frutto i propri talenti, disporsi a servire in modo qualificato gli altri, creare intensi legami di solidarietà con gli altri lavoratori. Tutte queste dimensioni sono compromesse se viene a mancare, per qualsiasi ragione, la possibilità effettiva di praticare un “lavoro decente”, come afferma al n. 63 l’enciclica Caritas in veritate, ossia “un lavoro che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna”. Facendomi interprete di questa espressione autorevole di papa Benedetto, desidero far giungere a tutti coloro che a vario titolo operano nel mondo del lavoro - lavoratori, datori di lavoro, impegnati nel sindacato e nelle associazioni di lavoratori, rappresentanti delle istituzioni ecc. – una parola di esortazione e di incoraggiamento a perseverare nell’impegno perché tutti abbiano non soltanto un lavoro qualsiasi, ma possano disporre di un lavoro a misura della propria umanità, delle giuste esigenze dei propri familiari, delle persone di cui hanno responsabilità. E’ chiedere troppo, questo? Anche in un tempo di crisi come l’attuale, è troppo chiedere che sia affrontata seriamente la condizione di chi non ha mai avuto, nonostante l’impegno, un lavoro stabile? Penso soprattutto ai giovani, che sembrano oggi destinati a sempre più estenuanti periodi di precariato prima di poter accedere ad un normale lavoro, a quanti avendolo perduto a causa della chiusura della propria azienda non riescono in alcun modo a trovare collocamento altrove, a chi è perennemente
sottoccupato o sottostimato nelle sue capacità lavorative, a chi troppo precocemente è stato messo in mobilità. Ma, soprattutto, una domanda mi inquieta, e deve inquietarci tutti: come poter parlare ai giovani di speranza se mancano così spesso le condizioni basilari per rendere loro possibile un futuro sereno, che consenta di formare una famiglia, di realizzare un progetto di vita, di mettere a frutto anni di preparazione e di studio?
Sono le domande che tutti abbiamo nel cuore, che avvertiamo come forte provocazione per la nostra fede, e che in questa Veglia vorrei insieme con voi rivolgere alla Sacra Scrittura, a questa fonte inesauribile di sapienza e di speranza. In particolare, mi sono soffermato sulla pagina biblica che avete da poco ascoltato, che narra la vicenda di Giuseppe (Genesi 41,53-57; 42,1-3; 45,1- 11).
Anzitutto il contesto del racconto: l’Egitto, uno dei più importanti Paesi dell’antichità, assieme alle nazioni circostanti, sta vivendo un tempo di forte crisi, dovuta ad una carestia che ha colpito i due settori trainanti l’economia dell’epoca: l’agricoltura e l’allevamento. Una crisi globale, potremmo dire, alla quale tuttavia l’Egitto ha potuto prepararsi per tempo. Merito di Giuseppe, che ha saputo interpretare con saggezza i sogni del faraone (le famose sette vacche grasse e le sette spighe grosse e belle seguite da altrettante vacche magre e spighe vuote, segno di un periodo di benessere cui sarebbe seguita una drammatica involuzione) e per questo aveva provveduto per tempo a incrementare le scorte di cibo.
Con la sua sobrietà, realizzata con il coinvolgimento di tutti, è divenuto possibile non soltanto superare la crisi, ma anche essere di aiuto ad altre popolazioni. Giuseppe darà vita ad una vera e propria catena di solidarietà verso i più vicini (i fratelli, che pure l’avevano tradito, vendendolo come schiavo), verso l’intera popolazione di Egitto, fino ai popoli più lontani e sconosciuti: “da ogni paese venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perché la carestia infieriva su tutta la terra” (Genesi 41,57).

Da qui mi permetto di trarre alcuni, semplici spunti per affrontare meglio l’attuale, persistente situazione di crisi. Il primo è che da questa crisi occorre imparare, non soltanto uscire; altrimenti, altre e nuove crisi incomberanno domani come una costante minaccia, pronte prima o poi a rinascere dalle ceneri di quella appena estinta. Come afferma Caritas in veritate, “la crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno [...] In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento
presente” (n. 21). Soltanto una attenta sobrietà, capace non di solo risparmio ma di oculatezza negli investimenti, può creare nuove e sempre migliori occasioni di lavoro.
Ma non basta: occorre anche si attivi una rinnovata solidarietà tra lavoratori e con essi, da parte di tutti, per uscire dall’attuale emergenza sociale e occupazionale. Non sempre infatti la difficoltà unisce le persone! Viceversa, soltanto assieme è possibile giungere a redistribuire più correttamente gli oneri della crisi oggi e a trovare soluzioni per il domani. Penso ad es. ai contratti di solidarietà, che consentono di ripartire in modo equo una riduzione di lavoro divenuta ormai inevitabile, scongiurando in molti casi il ricorso al licenziamento. Il lavoro è problema di tutti, non di alcuni soltanto; è questione primaria che deve trovarci tutti e insieme impegnati per uscire dall’attuale emergenza, ciascuno secondo le proprie competenze e responsabilità. Nessuno può misconoscere il legame che lo unisce a tutti gli altri uomini; nessuno dovrebbe mai ripetere la drammatica espressione che la Scrittura pone in bocca a Caino e che esprime la negazione di ogni pur evidente fraternità: “sono forse il guardiano di mio fratello?” (Genesi 4,9). Chi potrebbe dire sensatamente, oggi: “la crisi non mi ha ancora colpito, quindi non mi riguarda...?”
Carissimi, proprio come impulso ad affrontare insieme la crisi, nei suoi molteplici aspetti, ho voluto dare vita nel Natale 2008 al Fondo famiglia-lavoro, sostenuto dal contributo di molti, grazie al quale è stato possibile finora venire incontro alle gravi difficoltà di migliaia di famiglie. Colgo l’occasione per ringraziare, ancora una volta, la Caritas e le Acli, che hanno messo a disposizione con competenza e disponibilità la fitta rete di centri di ascolto e di circoli diffusi sul territorio, assieme agli oltre quattrocento volontari che si sono prodigati nel difficile compito di discernimento delle diverse situazioni incontrate. Mi auguro che il Fondo sia di continuo alimentato, almeno fintantoché durerà la crisi, e desidero inoltre sia promosso in tutti i suoi aspetti: come occasione di approfondimento delle relazioni con le persone colpite da povertà vecchie e nuove, di educazione alla sobrietà, alla solidarietà e ai nuovi stili di vita, di sensibilizzazione delle persone, specialmente dei ragazzi e dei più giovani, delle famiglie e delle nostre comunità. Abbiamo bisogno di costruire legami nuovi, più autentici, più intensi, a partire dalla famiglie, dal territorio, dagli ambienti di lavoro, dove si gioca gran parte della giornata e della vita di ciascuno.
Concludo ricordando il prossimo grande evento che vedrà Milano e il suo territorio protagonista di un’iniziativa che il Papa ha voluto affidarci: ci stiamo infatti ormai avvicinando al prossimo - il settimo! - Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà nel 2012 sul tema: “La famiglia, il lavoro e la festa”.
Mi auguro che fin d’ora possiamo sentirci insieme incamminati verso questa meta, così che possa permetterci di riscoprire la famiglia come soggetto sociale, come realtà relazionale ed educativa che nel lavoro può trovare ben più di una risorsa e nella festa ben più di un momentaneo riposo.
Facciamo sì che il nostro territorio divenga luogo in cui le famiglie, giungendo da ogni parte del mondo, possano incontrarsi in una ritrovata fraternità: nuova, vera, disinteressata. E, incontrandosi, possano scambiarsi il patrimonio più bello di cui ogni famiglia è portatrice: la testimonianza di un vissuto autentico, radicato in una sana laboriosità, premessa di un tessuto sociale vivo, in grado di testimoniare che dalla crisi è possibile non soltanto uscire, ma imparare a vivere in modo rinnovato, più sobrio, solidale, attento alle esigenze dell’altro e dell’ambiente, casa comune dell’intera umanità.
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano


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