giovedì 1 aprile 2010

Elezioni: «rinnovarsi». Una completa convincente analisi

Il risultato elettorale
rilancia l’idea di rinnovamento

Riceviamo e pubblichiamo
Ormai la lunga ed inquieta campagna elettorale è dietro le spalle. A questo punto siamo davanti a dei risultati certi. Il voto delle amministrative presenta un quadro piuttosto chiaro, non fornendo tuttavia delle istruzioni di sostanza per il futuro.
Non si può dire, infatti, che vi siano forze politiche cancellate dallo scacchiere o sostanziali indici di novità. Gli elettori sanno molto meglio degli osservatori, giornalisti o politologi che siano, che qui si decideva solo delle amministrazioni locali. Dunque, il voto andava inteso nella direzione che è più consona alla territorialità e alla prossimità stessa dei problemi.
La svolta è rimandata alle politiche.
Certo, malgrado tutta la serie possibile di distinzioni scolastiche che possiamo immaginare, la linea di tendenza è piuttosto chiara. C’è un vincitore unico, la Lega nord. C’è un perdente unico, anche se ben camuffato, il Partito democratico. E vi è una resistenza non scontata del Popolo delle libertà, che vince perché non perde.

Riguardo al primo fattore, quello leghista, il messaggio è molto serio.
La Lega, infatti, è un partito “partito”, ossia un movimento politico vero che ha un’organizzazione tradizionale, ancorata al territorio e vicina ai cittadini. Così tanto prossima alla società reale da riuscire a coinvolgere direttamente gli stessi governati nei ruoli politici di governo. Questa prassi funziona molto bene, soprattutto al Nord. Ai settentrionali, gente molto seria, piace sentire le istituzioni, soprattutto quelle locali, come un tutt’uno con se stessi.

Il Nord diffida dei rappresentanti dotti e separati dal sentire comune. Una sicurezza democratica e un rischio, al contempo. La Lega risponde benissimo a questa esigenza. Non si distanzia per nulla dal popolo. Anzi s’identifica con la gente, con le sue certezze e le sue insicurezze. Parla, decide e fa quello che confezionerebbe una persona normale. Si sa che conservare questo legame con la base è difficile, ma alla Lega riesce sempre più e sempre meglio. E ha successo soprattutto perché è un partito ordinario, non guidato da un leader mediatico, ma da un fondatore concreto e carismatico.
Come un tempo facevano i grandi capi dei movimenti operaistici, Bossi ha dato la miglior definizione del suo successo in modo stringato: “La sinistra difende i lavoratori stranieri, noi quelli italiani”.
Ci vorrà tempo per inserirsi laddove la Lega si è insediata col suo Noi.

D’altra parte, almeno nei suoi limiti precisi, il Pdl non perde. E ciò in virtù di una solidità degli elettori al modello Berlusconi, inimmaginabile da Roma, che va oltre ogni campagna dissacratoria.
Ciò non vuol dire che Berlusconi abbia vinto e abbia ragione e abbia un futuro lungo davanti a sé, ma che la guerra scandalistica e forcaiola della sinistra non ha sortito alcun effetto elettorale.
La sinistra è roba romana, salottiera, e Berlusconi è consumato ma appartenente ormai all’immaginario politico del centrodestra, essendo il nemico sicuro di quell’arcaica e influente aristocrazia snob.

La sinistra, da par suo, ha decisamente perso le elezioni. Sia guardando l’affermarsi non eccessivo ma considerevole di Grillo e sia valutando il fatto che veniva comunque da una sconfitta elettorale, il Pd non può considerare il fragile mantenimento di una percentuale una garanzia valida. E’ piuttosto il contrario.
Il Pd è lo sconfitto per eccellenza delle amministrative 2010.
Non ha stabilito alleanze valide al centro. Non ha proposto una politica d’idee convincente. In più ha permesso il compiersi definitivo dell’emorragia dei cattolici al centro, non presentando alcuna alternativa a sinistra che non sia la Puglia di Vendola, tra l’altro osteggiata dalla nomenclatura centralista. Un po’ pochino. La diagnosi del Pd è chiara, d’altronde. Senza una politica industriale e senza una scelta chiaramente moderata, non vince. Non è forza di governo, e dunque non è un’alternativa da considerarsi esistente. Alleandosi con i radicali, non poteva che perdere. Per trovare se stesso, dunque, il Pd deve ripartire da capo, e chissà quanto ci metterà a ritrovare la sua bussola.
Adesso ci sono tre anni senza elezioni.
Per chi non è di sinistra, si apre un lungo periodo di sperimentazioni politiche, sotto il coperchio di Berlusconi. Al momento è importante portare l’attenzione dell’opinione pubblica sui temi centrali di un nuovo umanesimo, valido per la vita di domani. Una crescita della motivazione ideale ed etica della cittadinanza, una razionale politica industriale fondata sulla qualità delle nostre imprese, e sulla loro trasformazione e crescita progressiva. Non è possibile fermarsi a quello che politicamente vince oggi.

Si deve guardare a qualcosa di nuovo e di effervescente per domani, partendo da un’affermazione forte della solidarietà e dell’unità nazionale. Il Paese non sta bene. Il fatto che nel centrodestra vinca la Lega è il segnale che assistiamo ad un lento e progressivo ripiegamento della società su se stessa.
Io non credo sia facile pensare ad una pacificazione in tempi brevi tra la sinistra e la destra, come molti dicono. Sono convinto, invece, che sia indispensabile puntare ad un progetto di rinascita del senso partecipativo dei cittadini alla vita pubblica, una spinta che sappia portare il Paese dentro la modernità, non fuori dal mondo.
Le nuove generazioni sono ormai vecchie. E le vecchie generazioni, decrepite. La politica, troppo chiusa e affannata. Ma il mondo va avanti tra globalizzazione e accorpamenti industriali in grado di strangolare la nostra fragile struttura economica.
O produrremo presto un rapido e progressivo cambio generazionale, oppure la destra e la sinistra del futuro saranno unicamente la Lega e Beppe Grillo.
E l’Italia un bel relitto, buono da mettere in vetrina in un museo delle civiltà in declino.

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