giovedì 15 ottobre 2009

Province: un articolo illuminante dagli autori de "La Casta"

IL NUMERO È QUASI RADDOPPIATO DALL’UNITÀ D’ITALIA.
ADESSO SONO ARRIVATE A 109
E i Camuni gridarono:
una provincia anche a noi
Gli enti che dovevano essere aboliti e le promesse infrante

(dal sito del Corriere Sera).
E i Camuni? Niente ai Camuni? Deciso a vendicare l’ingrata storia, il deputato leghista Davide Caparini ha deciso di tirare dritto: vuole a tutti i costi la nuova Provincia della Valcamonica. Capoluogo: Breno, metropoli di 5.014 anime. Direte: ancora un’altra provincia? Ma non avevano promesso quasi tutti di abolirle? Certo: prima delle elezioni, però.
Promessa elettorale, vale quel che vale. Tanto è vero che il disegno di legge per sopprimerle, presentato alla Camera dalla strana coppia Casini & Di Pietro, è già morto. Se dovesse passare l’iniziativa camunica del parlamentare del Carroccio, quella con capita­le Breno (inno ufficiale: «E su e giù e per la Val­camonica / la si sente la si sente...») sarebbe la provincia numero 110. Quando nacquero nel 1861, al momento dell’Unità d’Italia, erano qua­si la metà: 59. Distribuite sul territorio con un criterio semplice: dovevi attraversare ciascuna in una giornata di cavallo. Nel 1947 erano già 91. E col passaggio dagli equini alle autoblu, hanno continuato ad aumentare, aumentare, aumentare a dispetto del proposito dei padri costituenti, che avevano previsto la loro aboli­zione con l’arrivo delle Regioni, fino a diventa­re 95 e poi 102 e su su fino a 109 grazie a new entry e soprattutto al raddoppio (da 4 ad 8) di quelle della Sardegna. La quale con l’Ogliastra (57.960 abitanti, due terzi di Sesto San Giovan­ni) mise a segno il capolavoro, la provincia a due teste: Tortolì (10.661 anime) e Lanusei, che di anime ne ha ancora meno: 5.699. Un re­cord mondiale. Che con l’arrivo di Breno ver­rebbe stracciato in attesa di nuove province e nuove capitali tipo Quinto Stampi, Pedesina, Zungri, Maccastorna, Carcoforo... Direte: ma dai, Carcoforo! Perché no, scusate? Se la pro­vincia è indispensabile per essere vicina ai cit­tadini, cosa han fatto di male i carcoforesi per non avere anche loro una provincia?

Quanto costino lo ha calcolato l’anno scorso il Sole 24 Ore : 17 miliardi di euro.
Con un au­mento del 70% rispetto al 2000. Da dove arriva­no i denari? Un po’ dai trasfe­rimenti. Parte dal prelievo del 12,5% sull’assicurazione delle auto e delle moto: 2 mi­liardi nel 2007, il 54% in più rispetto al 2000. Più aumenta l’assicurazione, più intasca la Provincia. Altri quattrini arri­vano dall’imposta provincia­le di trascrizione: le annota­zioni al Pubblico registro au­tomobilistico che doveva es­sere abolito. Ci sono poi un’addizionale sulla bolletta elettrica e il tributo provincia­le per l’ambiente.

Come mai i cittadini non si arrabbiano?
Occhio non ve­de, cuore non duole: sono tut­te tasse dentro altre tasse. Non si notano. Va da sé che a quel punto, ignaro delle spe­se, il cittadino vede titillato il suo campanilismo. Come nel caso della provincia di Fer­mo nata dalla divisione di quella di Ascoli Piceno. Una specie di scissione dell’ato­mo: da una piccola provincia ne sono nate due minuscole. In compenso, al posto di un solo consiglio da 30 membri, ne sono nati due da 24: totale 48 poltrone. Per non dire del­la provincia a tre piazze di Barletta-Andria-Trani, chia­mata così per non far torto ai permalosi cittadini dell’una o l’altra capitale. Quanti sono i comuni di quel­la nuova Provincia? Dieci in tutto, sono. Il che, diciamolo, aumenta la pena per i sette tagliati fuori dal nome: Bisceglie, Trinitapoli, Minervi­no Murge. E la targa automobilistica? «BT». Ri­volta: «E Andria? Non si può fare “Bat”?». «No, quella è di Batman».

C’è da sorridere? Mica tanto. Sull’abolizione delle province, infatti, fu giocato un pezzo del­l’ultima campagna elettorale. «Aboliremo le Province, è nel nostro programma», disse Ber­lusconi a Porta a porta il 10 aprile 2008. «Ma la Lega sarà d’accordo», eccepì Bruno Vespa. E lui: «La Lega è composta da persone leali». «Presidente, che cosa ha previsto per abbassa­re i costi folli della politica?», gli chiese la si­gnora Ines nella chat-line al Corriere . E lui: «La prima cosa da fare è dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei con­siglieri comunali». E le Province? «Non parlo delle Province, perché bisogna eliminarle». Mostrava di crederci al punto, il Cavaliere, che cercava sponde: «Se Veltroni ci darà una ma­no... ». La linea veltroniana, del resto, era già stata dettata: «Cominceremo da subito abolen­do le Province nei grandi comuni metropolita­ni ». Posizione confermata a Matrix: «All’aboli­zione delle province penso ci si possa arrivare. Ma non sono un demagogo. È facile dirlo in campagna elettorale...». Il socio fondatore del Pdl Gianfranco Fini era d’accordo: «I carrozzo­ni non sono intoccabili e si possono abolire per esempio le Province». Una tesi già benedet­ta da altri. Come l’ex ministro degli Interni az­zurro Giuseppe Pisanu: «Le Province ormai non hanno più senso».

Qualche settimana dopo le elezioni il capo del Governo sventolava il primo trionfo, rias­sunto dai tg amici con titoli così: «Abolite no­ve Province». In realtà nove province cambia­vano soltanto nome. D’ora in avanti si sarebbe­ro chiamate aree metropolitane. Un ritocco se­mantico. Ma naufragato lo stesso. Poi comin­ciarono i distinguo. «C’è un solo punto nel pro­gramma in cui ho difficoltà serie con gli allea­ti, l’abolizione delle Province. La Lega ha una posizione molto ferma», confessò Berlusconi nel dicembre 2008. «Sono enti inutili, ma non riusciremo a cancellarli in questa legislatura», confermava Renato Brunetta. Di più: nel dise­gno di legge sulle autonomie locali definito dal ministro Roberto Calderoli non solo so­pravvivevano. Venivano addirittura rafforzate, con la possibilità di riscuotere tasse proprie.

Vero è che Bossi aveva eretto un muro insor­montabile: «Le Province non si toccano». Ma che la marcia indietro collettiva sia stata dovu­ta solo all’altolà del Carroccio non si può dire. Basti rileggere quanto affermò il deputato del Pd Gianclaudio Bressa nell’ottobre scorso: «Non siamo d’accordo con l’abolizione delle Province, né abbiamo mai detto di esserlo in passato. È ora di finirla con questa mistificazio­ne ». E quello che diceva Veltroni? Coro demo­cratico: Veltroni chi? Ma è niente in confronto alle contraddizioni della maggioranza. Dove Sandro Bondi, da coordinatore forzista, era a pié fermo al fianco del Capo: «Aboliamo le Province. Sono un diaframma inutile fra i Comuni e le Regioni». Era il 14 luglio 2007: qualche me­se dopo, con marmorea coerenza, si candidava alla presidenza della Provincia di Massa Carra­ra.

E meno male anche per lui (oggi ministro) che non ce l’ha fatta. Sennò sarebbe andato a ingrossare la folta schiera dei fedeli di sant’Alfonso Maria de’ Liguori al quale Dio concesse il dono della bilocazione. Cioè quei politici che sono insieme assisi su due poltrone: quella di parlamentare e quella di presidente provinciale. La legge dice che il presidente di una Provin­cia o il sindaco di una città con oltre 20 mila abitanti non può essere eletto parlamentare? Sì, ma non dice il contrario. Così i casi di doppio o triplo incarico si sono moltiplicati. Ades­so sono nove, di cui sei pidiellini: c’è il presidente foggiano Antonio Pepe, quella astigiana Maria Teresa Armosino, quello avellinese Cosi­mo Sibilia, quello salernitano Edmondo Cirielli, quello napoletano Luigi Cesaro, quello ciociaro Antonio Iannarilli... Poi ci sono gli «ubi­qui » della Lega: il presidente biellese Roberto Simonetti, quello bergamasco Ettore Pirovano e quello bresciano Daniele Molgora, che è anche sottosegretario all’Economia: un esempio di trilocazione mai tentato neppure dal santo fachiro Sai Baba capace al massimo di apparire insieme nell’Andra Pradesh e a Toronto. Chiederete: ma come fa uno a stare in tre posti diversi? La risposta la può forse suggerire lo stesso Pirovano. Il quale il 27 luglio scorso, mentre teneva la giunta a Bergamo, votava alla Camera a Roma materializzandosi grazie al tesserino usato al posto suo dal collega Nunziante Consi­glio. Il quale, pizzicato da Fini, disse: «Era un gesto innocente, pensavo stesse per arrivare... ». Ma se di lunedì ha la giunta! «Oh signur, credevo fosse martedì...».

Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella

1 commento:

Carlo Uslenghi ha detto...

E' così difficile mettersi intorno ad un tavolo e riscrivere l'architettura istituzionale della nostra Repubblica ?

Credo che la potestà legislativa e amministrativa suddivisa in quattro differenti "livelli istituzionali", dal Comune, alla Regione, allo Stato, all'Europa sia più che sufficiente e ne avanzi !

Dunque concordo con l'abrogazione delle Province accompagnata dall'accorpamento-fusione di Comuni che non raggiungono almeno 30mila abitanti.

8103 Comuni, 108 Province, 20 Regioni (ne basterebbero 10-12), senza citare tutti gli enti ed organismi intermedi e paralleli, lo Stato, l'Europa, è davvero troppo sulle spalle, o meglio, sulle tasche dei contribuenti.


E le Prefetture, servono o non servono ? Non si dovevano abolire nell'ottica dello stato federale ?


Occorre poi ridurre la rappresentanza istituzionale, cioè, per parlar chiaro, tagliare il numero di deputati e senatori, tagliare il numero di consiglieri regionali, e ridurre le indennità e i benefit di tutti questi.

Non si tratta di essere di destra o di sinistra, ma solo di buon senso, e di senso dello stato e delle istituzioni al servizio dei cittadini, e non questi ultimi, i cittadini, sempre tartassati, al servizio delle carriere dei politici di sempre, della prima e dell'ultima ora, e della loro intramontabile e sempreverde casta.
Carlo Uslenghi