martedì 11 maggio 2010

Unione Italiana: ecologia e impresa

Ecologia industriale,
ossia come utilizzare
bene l’ambiente facendo impresa

Riceviamo e pubblichiamo
Se c’è un settore della nostra economia che veramente si presta a strumentalizzazioni e ad equivoci questo è l’ecologia. Perciò, in modo quasi provocatorio, mi piace utilizzare l’espressione “settore economico” parlando appunto della politica ambientale.

Sia coloro che fanno dell’ecologia una battaglia anti industriale e sia coloro che, viceversa, si disinteressano totalmente all’ambiente finiscono per considerare l’ecologia una risorsa economicamente interessante. E’ singolare ripensare a quante persone a partire dagli anni ’80 hanno potuto speculare politicamente sulla paura collettiva del disastro ecologico mai arrivato per fortuna, non considerando però attentamente cosa sia realmente un’etica ambientale, quella, per capirsi, di cui ha parlato anche il Papa di recente nella sua ultima Enciclica Caritas in Veritate. Io voglio sottolineare, da subito, un fatto importante. Non è vero che l’amore per l’ambiente, ossia la sensibilità per il patrimonio che si nasconde nelle risorse naturali, sia un’acquisizione recente. Non abbiamo dovuto per niente aspettare Al Gore per sapere che la natura materiale costituisce per l’uomo una ricchezza preziosissima che è, al contempo, anche una minaccia. Nel pensiero teologico e filosofico europeo è riscontrabile questa sostanziale priorità, in modo assai diffuso, già da molti secoli. Tommaso d’Aquino dedica, ad esempio, nel XIII secolo perfino una parte della Summa theologiae al buon uso delle risorse naturali.

Certamente, il divenire l’uomo una minaccia tangibile per la natura circostante è una realtà, invece, molto recente, aggravatasi negli ultimi decenni, e derivata dall’industrializzazione selvaggia. Soprattutto dalla crescita economica smodata, anche se necessaria, dei Paesi in via di sviluppo. In quei casi, infatti, la priorità dei bisogni essenziali da parte delle persone umane indigenti ha ovviamente un’antecedenza e un’urgenza tale da mettere in secondo piano qualsiasi politica di tutela dell’ambiente.
Ma, allora, come poter avere una visione equilibrata? E, ancor di più, qual è il modo corretto d’impostare un discorso ecologico?

In primo luogo, è fondamentale partire dall’essere umano. Qui, evidentemente, un ecologista spinto potrebbe già alzare le mani e fermarmi. Ma credo sia difficile sostenere che si possa ragionevolmente considerare la madre terra prescindendo dall’uomo. Lo sviluppo umano è ormai inarrestabile. E poiché comunque noi siamo esseri umani, e quello che facciamo, anche quando ci professiamo ecologisti, è sempre qualcosa di umano, la madre terra è nelle nostre mani e dipende da noi.

Dunque, è essenziale che si muova dall’uomo. E ciò anche per una seconda ragione. Non esisterebbe un problema ecologico se non esistesse l’umanità. E non esisterebbe alcun tipo di valore ambientale se il mondo naturale non servisse allo sviluppo e all’espansione della vita umana.

E’ evidente, tuttavia, partendo proprio da una solida impostazione antropologica, che la questione ambientale non è più derogabile. L’ambiente è un bene primario e fondamentale per tutto il genere umano, oggi soggetto a rischi enormi. Quindi, una politica industriale moderna ed eticamente sensibile non può non considerare l’ambiente come un orizzonte entro cui porre lo sviluppo, e a cui è doveroso che la politica riconosca un valore assoluto negli obiettivi da perseguire.

La vera linea valida per una seria valorizzazione del paesaggio e delle risorse è la considerazione del mondo materiale come bene comune. Ciò significa, nella fattispecie, che l’azione dell’uomo ha il dovere di compiere e trasformare industrialmente il territorio, tenendo conto però che nessuno è padrone esclusivo delle risorse naturali ricavate e prodotte. Esse sono destinate all’uso di tutto il genere umano, non essendo pertanto limitabili ad un possesso esclusivo da parte di alcuni produttori o di pochi consumatori.

Ciò non vuol dire, ad esempio, che le fonti idriche debbano necessariamente essere in mano allo Stato o alle istituzioni regionali e comunali. Al contrario, vuol dire che la gestione, sia essa pubblica o privata, delle risorse naturali non può essere fatta a svantaggio di qualcuno, perché si tratta appunto di mezzi indispensabili per la vita di tutti. In questo senso, inquinare una falda acquifera, oppure seppellire sottoterra materiali altamente infestanti, è definibile tecnicamente un crimine contro l’umanità. Perché si deturpa e si offende un bene primario il cui diritto è di tutti, ben oltre il presente, raggiungendo finanche le generazioni future. E il profitto individuale non può essere fatto mai a scapito degli altri o, peggio ancora, dell’intera umanità.
L’ecologia, pertanto, non è altro che una branca dell’etica industriale, intesa appunto come regolamentazione comportamentale umana della produzione in vista del mantenimento del valore comune dell’ambiente e della sua utilizzabilità collettiva nel tempo.

Bisogna pensare, in fin dei conti, che non soltanto l’ecologia non può limitare l’impresa industriale, essendo un principio dell’etica umana di chi industrialmente opera sul territorio o consuma beni ricavati dal territorio, ma l’industria stessa ha il dovere di contribuire direttamente alla tutela dell’ambiente, trovando nello sviluppo sostenibile nuove forme di incentivi all’innovazione tecnologica.

Basti pensare ai carburanti ibridi o ai combustibili naturali, su cui tanta ricerca si fa e meglio si dovrebbe fare, per comprendere immediatamente il senso economico di una seria ecologia.
La soluzione all’inquinamento ambientale, insomma, deve provenire, sì, dalla diminuzione dei consumi energetici inutili, ma anche e soprattutto dall’innovazione tecnologica e industriale, ovviamente promossa e sostenuta a livello internazionale.

In questo senso, gli enti locali hanno un peso sempre maggiore. Ma si tratta di fare scelte coraggiose e non unicamente conservative. L’austerità è un’utopia inutile, perché i consumi sono destinati ad aumentare anche qualora vengano controllati i dispendi pro capite. La democratizzazione dei consumi apre il varco, infatti, ad una crescita geometrica e globale delle fonti di energia.

Il caso del nucleare è assai rilevante per capire questo discorso. Se le regioni che accogliessero centrali nucleari, le quali, come è noto, a funzionamento normale sono assolutamente non inquinanti, avessero la possibilità di garantire ai propri cittadini diminuzioni consistenti delle bollette, favorendo l’uso industriale di carburanti elettrici a scapito dei più inquinanti materiali fossili o derivati del petrolio, allora verrebbe compiuta una scelta veramente ecologica di politica industriale. In tal modo, infatti, le regioni pronte ad ospitare il nucleare potrebbero dotarsi di usi elettrici maggiori, diminuendo considerevolmente l’inquinamento che le emissioni di anidride carbonica e di anidride solforosa producono normalmente nell’atmosfera.

Il caso del nucleare, come quello delle macchine elettriche o, un domani, a idrogeno, fa pensare a quanto tempo si sia perso e a quante scelte assurde siano state fatte in questi anni.
L’ecologia, in definitiva, con buona pace dei Verdi, non è altro che una tappa della moderna industrializzazione. In fin dei conti, è un obiettivo di carattere etico in grado di far crescere l’industria di pari passo con la tutela intelligente dell’ecologia e della cura ambientale.

Naturalmente, sempre al servizio della crescita quantitativa e qualitativa dell’umanità.

1 commento:

verde non padano ha detto...

ma tutti gli ecologisti che girano da queste parti non dicono nulla? si fanno prendere per il sedere dalla Lega e stop! ;-)