giovedì 27 maggio 2010

Santoro: una opinione chiara e distaccata!

LA LIBERTA' DI SANTORO

Il caso Santoro esplode su tutta la stampa e non è la prima volta. Il grande guitto è grande in tutto: nella gestione dei suoi programmi, nell'invettiva moralistica, nella denuncia spesso vera ma parziale di abusi e irregolarità, nell'essere potente a farsi commiserare, ricco e impietosire, anti politico e parlamentare, in sostanza un grande comunicatore, per la verità opposto e assai simile al Berlusconi che detesta. Il comizio solitario e senza obiettori, fatto usando il suo programma Rai, in difesa di una limitata libertà presunta e di una mega liquidazione milionaria certa, dava l'impressione che il padrone fosse lui, attore magnifico, proprietario non solo dello schermo ma anche di un pezzo di Rai.

Santoro, personaggio certamente da non sottovalutare, professionista da tutti considerato esperto e capace, ottimo commerciale di sé stesso, come dimostrano gli sponsors delle sue trasmissioni, ha posto però, forse non del tutto volontariamente ma certo in modo plastico ed incisivo, il tema della libertà del giornalista rispetto al proprio editore. In apparente difesa dell’utente consumatore delle notizie.

Questo il tema vero, che supera per importanza e valore politico tutti gli altri problemi sollevati. A cominciare da quello che più ha impressionato l’ingenuo e poco informato telespettatore, che ignora gli stipendi dei comunicatori professionali, critici degli stipendi di tutti gli altri professionisti di qualunque categoria.

Ciò che ha scandalizzato la gente, soprattutto di sinistra, sulla transazione da 10 milioni di euro (20 miliardi delle vecchie povere lire), non è soltanto la somma in sé. Se questa transazione l'avesse fatta Vittorio Feltri tutti l'avrebbero considerata assai esosa ma normale e conforme al personaggio.

Ma non da Santoro, il fustigatore dei costumi, il vate della protesta dei poveri e dei deboli, il critico di Vespa e degli altri colleghi (suoi) non di sinistra, il divulgatore della battaglia militante, continua e spesso motivata di Travaglio e di Grillo, l'ex parlamentare europeo in verità rimasto silenzioso nel suo mandato, in poche parole il piccolo Robespierre della sempre mancata rivoluzione italiana.

Si tratta dunque del rapporto tra il giornalista e il suo editore, che può essere privato e, solo nel caso della RAI, pubblico.
Molti sono i codici deontologici del giornalista, per settore, per giornale, più generali legati all'Ordine dei giornalisti e appare chiaro come dovrebbe essere, teoricamente, il rapporto fra giornalista e realtà esterne.

Nella “dichiarazione di indipendenza” del Corriere della Sera si legge che l'imparzialità, è “una disposizione mentale prima che l'applicazione di una tecnica” e si sostengono la ricerca della “verità fin dove può essere accertata e tutta la verità di cui si può venire a conoscenza”... “controllando i fatti e le fonti”.

Il “patto di Repubblica”, firmato tra l’editrice e il comitato di redazione (5.12.1990) impegna a respingere “interferenze di carattere politico, economico, ideologico da qualsiasi fonte esse provengano, siano essi enti, istituzioni, associazioni pubbliche o segrete, aziende pubbliche o private, gruppi di pressione”. E così pure il codice di autodisciplina del Sole 24ore ed altri.
In sostanza tutti proclamano l'autonomia e l'indipendenza dei giornalisti da fattori esterni.
Nessuno si pone il problema del rapporto con il proprio editore che quasi sempre è portatore di molti interessi industriali, finanziari, commerciali, politici che appunto lo portano a finanziare l'editoria giornalistica e televisiva che, per i suoi costi e la sua complessità, è sempre o quasi ampiamente passiva. Salvo la vistosa eccezione di Mediaset!
Infatti ogni organo di stampa o di televisione risponde alla linea politica (definita editoriale) della sua proprietà. E nessuno se ne meraviglia, proprio perché lo dà per scontato: Berlusconi ha i suoi giornali e tv, De Benedetti i suoi, Telecom i suoi, la Fiat altrettanto e tutti i potenti giornali di area e di provincia hanno i propri padroni.
Non ci risultano in Italia forti sussulti di autonomia giornalistica rispetto ai propri editori. La cosa non stupisce anche perché si pensa che se uno lavora all'Unità la pensa più o meno su quella linea, garantita dal direttore all'editore del giornale fondato da Gramsci ed ora di Soru, proprietario di Tiscali ed altro. E così per tutti gli altri.
Perché per Santoro la situazione è diversa? Perché lui può permettersi l'anomalia di sparare contro il suo editore che è il governo, per il drammatico tramite dei suoi partiti?
Ciò avviene proprio a causa della esistenza di una tv di Stato, lottizzata dal presidente al fattorino, che non esercita quel ruolo di servizio che predica ed è carente di autorevolezza quanto abbondante di compensi e di elargizioni.

Così nello stesso calderone abbiamo Vespa e Santoro, e tutti gli altri codazzi redazionali, consulenziali, amicali e parentali, politici e così via.
Tanto ciò avviene con i nostri soldi dato che paghiamo un canone obbligatorio e sanzionato giuridicamente.

Ci chiediamo se potrebbe essere così se la Rai fosse privata, rispondesse a logiche di mercato sia nelle entrate che nelle spese. Non a caso Berlusconi raccomandava attrici protette alla Rai senza assumerle a Mediaset.

Se si privatizzasse con criteri europei la RAI e ci fosse un solo canale di servizio pubblico, senza pubblicità, votato alla crescita culturale del paese, alla serena e stringata informazione, con giornalisti corretti e non assunti tramite i partiti e le varie cricche, forse le cose andrebbero meglio.
Ci piace sognare una tv disinteressata alle entrate pubblicitarie e attenta solo al servizio pubblico, che tenti di riportare, per quanto le compete e le sia possibile, il paese lontano dall'attuale effimero gioco degli interessi, dal degrado morale, dall'appiattimento conoscitivo e culturale.
Santoro, Floris, Minzolini, Vespa, potrebbero vivere meglio la loro libertà di giornalisti. Noi quella di cittadini.

1 commento:

Anonimo ha detto...

beh bisogna dire che è stato capace di trasformare in fatturato milionario la campagna denigratoria contro il governo.
molto furbo
tipicamente di sinistra
giovanni da premezzo