domenica 23 maggio 2010

Casini ondeggia, Bossi urla, Fini prosegue. E Berlusconi?

LARGHE INTESE?

(Editoriale) Mentre la corruzione avanza nella società, con la stessa rapidità di diffusione della macchia di petrolio nell’Atlantico, il clima politico italiano nelle ultime ore è tornato incandescente e febbrile.
I centristi, e in particolare Pier Ferdinando Casini, sembrano aver ritrovato l’orgoglio di un tempo. Il primo a reintegrarne la mansione è stato Berlusconi, il quale ha fatto sapere di essere aperto a possibili alleanze con l’Udc. Il fine è ovviamente quello di arginare la piccola, anche se fastidiosa, eresia di Fini. Un eventuale ritorno nell’alleanza di Governo dei centristi, in effetti, rafforzerebbe la leadership berlusconiana, moderando lo strapotere della Lega e comprimendo la minoranza interna.
Non a caso, a silurare questa possibilità è stato proprio Umberto Bossi. Ufficialmente, per i leghisti è urgente l’attuazione del programma, in specie il federalismo fiscale nella sua esecuzione gestita dal fido Tremonti. Il ragionamento è secco. Con noi il Pdl vince. Con l’Udc, invece, s’impantana nelle dinamiche di una volta, aprendosi a possibili infedeltà e ipotecando la propria stabilità. D’altronde, vista la reazione dei berlusconiani alla dissidenza dell’ex presidente di An, l’apertura del Pdl a Casini non appare molto coerente. Se, in altre parole, dà fastidio la svolta demo moderata di Fini, perché poi puntare ad allearsi con un personaggio che del suo essere democristiano rivendica orgogliosamente la paternità?

Dall’altra parte, il Pd si presenta ormai come una galassia decomposta, in cui ogni satellite se ne va per conto suo. Bersani è bloccato. Veltroni tenta di rientrare in pista. E Franceschini, da par suo, apre a possibili alleanze con l’Udc. Alla fine, quasi inevitabilmente, si comincia a parlare di larghe intese, ossia di un’evoluzione della tattica parlamentare che potrebbe portare ad un cambiamento ai vertici del Governo, con un Berlusconi che magari lascia la guida dell’esecutivo ad un tecnico.
Io credo che in questo tentativo, da più parti caldeggiato, si facciano i conti senza l’oste. Ossia, senza Berlusconi. Non è molto probabile, infatti, che egli lasci il passo a Tremonti o a qualche altro notabile di fiducia, perché la sua posizione attuale non è per nulla indebolita politicamente.
Le elezioni anticipate, mal che va, sarebbero per lui molto più opportune. Un esecutivo tecnico, inoltre, non converrebbe per primo agli eventuali candidati. Il problema del centrodestra è costituito, in realtà, unicamente dai recenti scandali che derivano dalla corruzione dilagante della cosiddetta “nuova tangentopoli”, a cui tuttavia gli elettori hanno mostrato una stupefacente indifferenza.

Accada quel che accada, è bene porsi qualche interrogativo.

In primo luogo, perché si dovrebbe sperare in un Governo di solidarietà nazionale?
Il problema italiano, a parte la crisi economica che già di per sé non spinge ad avventuristiche sperimentazioni, non è la mancanza di una maggioranza, ma l’assenza di politica. E con questa espressione io intendo la carenza di progetti ideali e concreti che possano costituire una valida alternativa all’espansione della Lega, sia nel centrodestra e sia nel centrosinistra.

Serve un programma economico strategico che metta tutta l’Italia al sicuro dal baratro oscuro della Grecia e del Portogallo, non cedendo alla tentazione del particolarismo.
Fini ha ragione ad esortare il Pdl a presentare sue proposte sull’immigrazione o su altri temi decisivi, in modo tale da avere dei propri punti fermi per negoziare l’alleanza con la Lega e con l’opposizione nel suo insieme. Un possibile esecutivo di tregua servirebbe veramente, se vi fosse fin d’ora un’alternativa di qualche tipo a Berlusconi.

Ma tale scenario attualmente non c’è. E il Pd resta il meno interessato ad elezioni anticipate e l’unico veramente attratto dalle larghe intese. Anche se richiederle, a ben vedere, non è molto intelligente, né lungimirante neanche per la sinistra. Significherebbe, infatti, arginare la malattia che affligge il Pd con antidolorifici, evitando di fare una vera terapia d’urto sulle cause reali che stanno indebolendo la sua neonata identità.

Se, dunque, la situazione invita a fare proposte organiche, dentro e fuori la maggioranza, allora è bene che la stabilità del Governo non venga messa in discussione.

E’ quanto mai opportuno cioè che si avvii un lavoro culturale e politico nella società, fuori dal palazzo, cercando di capire quali siano gli interessi dei nuovi poteri che stanno nascendo e valutando quali forze potrebbero mettersi in gioco domani per aprire una nuova stagione politica del Paese.

Berlusconi, con il suo consueto istinto, ha tentato di anticipare tutti, coinvolgendo la Marcegaglia al posto di Scaiola all’Industria, ma ha ricevuto un eloquente no grazie.
Pochi, infatti, sono pronti ancora a mettersi in campo con Berlusconi.
Mentre molti lo farebbero in un progetto politico differente, se si presentasse con le credenziali giuste.

A ciò conviene pensare.
In definitiva, la migliore iniziativa che si può fare al momento è aprire un confronto con la società sui temi fondamentali della scuola, della sanità, della politica estera, del lavoro, dell’industria, discutendo liberamente e al di fuori di schemi prestabiliti che Italia si vorrebbe costruire e con chi.
L’importante è abbandonare subito ogni pretesa di larghe intese che ingarbuglierebbe ancora di più la matassa, bruciando persone preziose di domani nella gestione attuale del potere e rallentando così ogni eventuale metamorfosi degli equilibri e delle alleanze.

Il Vangelo ammonisce e ricorda: “Mai mettere vino nuovo in botti vecchie”.


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